In questi giorni, mi sono cimentato in un complesso reverse engineering della pompa dei freni di una Land Rover Defender. La pompa in oggetto si è guastata più volte, ed ho pensato, giusto per esercizio, di apportare alcune piccole modifiche. In realtà, soprattutto volevo verificare le possibilità di impiego di T-FLEX in questo genere di attività. Il lavoro non è ancora del tutto completato, ma ormai è a buon punto, e si può almeno iniziare a mostrare qualche risultato.
La scansione
Dopo aver tentato di ripulire per quanto possibile una pompa guasta, ho effettuato una scansione con un Artec Space Spider. Questo strumento è molto preciso e comodo da utilizzare, e permette di ottenere dei modelli decisamente precisi.
Il Reverse Engineering
Utilizzando T-FLEX, è stato ottenuto un modello analitico, sia utilizzando come riferimento la mesh della scansione, per le parti da fusione, sia alcune misure acquisite con calibro e micrometro.
Il Rendering
Come si può vedere, mi sono divertito anche a riprodurre le varie etichette e stampigliature, semplicemente per provare alcuni comandi del software di modellazione. Così, alla fine ho deciso di produrre un’immagine semirealistica (GPU).
Nei prossimi giorni, questo articolo verrà completato con le descrizioni di alcune tecniche utilizzate e relative immagini. Resto nel frattempo a disposizione di chiunque desideri chiarimenti su questo processo.
Per chi cerca una stampante di grande formato con una costruzione industriale, affidabile ed utilizzabile per uso almeno semi-professionale, le scelte disponibili non sono moltissime. Per questa ragione, un nuovo modello merita di venire accolto con curiosità ed attenzione.
Il grande formato non scherza
Le problematiche che si incontrano non appena superato il canonico volume 200x200x200 diventano esponenziali. Il telaio deve prevedere una rigidità superiore. Il piano di lavoro richiede maggiori supporti; non può più venire costruito semplicemente “a sbalzo”, pena flessioni, vibrazioni e problemi di calibrazione. I materiali, soprattutto quelli stirenici (ABS, ASA, HIPS etc.), iniziano a manifestare incontrollabili deformazioni se la temperatura della camera non è più che stabile. Il sistema di estrusione deve garantire una affidabilità adeguata a produrre stampe che possono durare centinaia di ore. Dispositivi che permettano di riprendere una stampa interrotta e gestire la fine filamento diventano essenziali.
Insomma, se nelle stampanti di piccolo formato sono ormai disponibili modelli di costo contenuto ma con eccellente qualità (es. Cetus), quando le dimensioni aumentano il gioco si fa duro.
Vediamo come ha affrontato la sfida del grande formato uno dei più affermati costruttori, CreatBot, con il modello F430.
Il telaio
Lo sappiamo, le fondamenta sono alla base di una buona costruzione. E il telaio è alla base di una buona stampante 3D. CreatBot, già ben nota per la tendenza ad adottare strutture massicce, opta anche in questo caso, come già accaduto per la serie DE, per l’opzione “forza bruta”, con un telaio in lamiera di acciaio (2 mm), elettrosaldato e verniciato a polveri. Un carro armato.
Poche le controindicazioni, a parte il peso della macchina, che con quasi 50 Kg. netti diventa difficile da maneggiare: sono necessarie almeno due persone robuste. La carrozzeria risulta completamente chiusa, con una buona visibilità su quattro lati e due sportelli apribili, che permettono una agevole rimozione del modello a fine stampa. Le bobine (sino a circa 2,5 Kg.) sono contenute all’interno e conseguentemente vengono preriscaldate.
Movimentazione e guide
Un altro punto cruciale nelle stampanti di grande formato sono le guide e gli organi di movimentazione. Anche sotto questo aspetto, la F430 non si affida a soluzioni di ripiego. Il piano, di quasi 1800 cm2 (dei cui 1200 utili), viene movimentato con due robuste viti a ricircolo e scorre su quattro guide cilindriche. Una soluzione già adottata con successo sulle Raise3D, e in questo caso decisamente mandatoria per evitare la flessione del piano, più ampio. I movimenti XY sono però – almeno rispetto a Raise3D e Zortrax M300 – diversi. Gli assi scorrono infatti su guide lineari prismatiche, anziché su guide cilindriche. Con altre stampanti (Cetus, 3DGence, Atom, CraftBot XL) abbiamo già apprezzato i benefici di questa scelta. Una concreta riduzione dell’effetto ghosting e in generale delle vibrazioni dovute all’inerzia delle masse mobili. Efficace anche la scelta “architettonica” HBot, che riduce la lunghezza delle cinghie, migliorando le tolleranze.
Estrusore
Anzi, estrusori, visto che la stampante ne monta due. Tutto sommato, gli hot end sono convenzionali Jhead all metal, controllati da termocoppia. La “novità” è la temperatura massima raggiunta: ben 420 gradi, più che sufficienti per molti materiali “tecnici”, incluso il Peek.
Stampe in Peek con la F430
A differenza della precedente serie D, la F430 usa un’alimentazione 1.75 a trazione diretta, più pratica del Bowden e più adatta per materiali elastici e flessibili. Interessante, ma in casa CreatBot si era già visto, il sistema di regolazione a vite dell’altezza degli ugelli, che permette un allineamento molto comodo e preciso. Questa scelta non fa rimpiangere alcuni sistemi recentemente apparsi con lifting automatico dell’estrusore inattivo. Il lifting in se non risolve il problema dell’oozing, appesantisce il gruppo di stampa e può renderlo meno affidabile. L’alimentazione prevede (fortunatamente) sensori di fine filamento. La pressione di spinta sul pignone è (altrettanto fortunatamente) regolabile con un nottolino a molla.
Piano di lavoro
È costruito da un elemento riscaldante in alluminio e da un piano in vetroceramica. Questo materiale risulta meno incline a deformazioni dovute al calore, ed è pressoché eterno. Può presentare una minore adesione del modello rispetto a piani microforati, ma non impone il raft e la rimozione è più agevole. La struttura microcristallina è inoltre molto efficiente rispetto alla gestione del calore, e il piano può venire spento automaticamente dopo un certo numero di layer. La calibrazione, oltre che meccanica, è anche automatica con l’ormai diffuso sensore BLTouch. L’area utile, con una diagonale di ben 500 mm., consente ad esempio di stampare prototipi di calzature di qualsiasi misura.
Camera di stampa
Almeno tre aspetti rendono particolarmente interessante questa macchina, relativamente alla camera di stampa.
La possibilità di stampare con ampie superfici aperte (3 sportelli, es. per PLA) o con camera chiusa e riscaldata, sino a ben 70 gradi (es. per ABS e derivati).
La presenza di un filtro, in grado di assorbire fumi e/o vapori eventualmente dannosi o maleodoranti (materiali stirenici)
Le bobine di alimentazione collocate all’interno della macchina, preriscaldate e al riparo dall’umidità nelle stampe particolarmente lunghe.
Queste tre caratteristiche, oltre all’ampio volume utile, “consacrano” questa macchina come realmente votata per affrontare stampe di grande formato.
Ripristino del lavoro dopo caduta di tensione
Questa (indispensabile) funzione è una delle più riuscite della F430. Per un semplice motivo. Pur presenti su diverse stampanti di grande formato, gli accorgimenti che consentono di recuperare un lavoro interrotto per problemi di alimentazione, si limitano generalmente ad “annotare” il punto nel quale la stampa si è interrotta, e a consentire di riprenderla in un secondo tempo, quando nuovamente l’energia elettrica è disponibile. Purtroppo nel frattempo, l’ugello rimane a contatto con il modello, nella posizione nella quale si era fermato, con immaginabili conseguenze. La stampa può si riprendere, ma con un danno, talvolta addirittura un foro laddove il processo si è interrotto. La F430, qualora l’alimentazione si interrompa, effettua un repentino sollevamento in Z di 20 mm., talmente veloce da scongiurare qualsiasi danneggiamento del modello.
Nell’insieme, la stampante di casa CreatBot si presenta con tutte le carte in regola per affrontare stampe di grande formato. A breve riceveremo una fornitura, e quelle che per ora sono considerazioni basate su una valutazione delle caratteristiche, potranno venire verificate con una serie di test pratici, ai quali ovviamente seguirà una recensione vera e propria. Stay tuned. Per il momento, è disponibile una interessante comparazione tra la F430 e la Ultimaker 3, al seguente link.
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Tutte le scansioni implicano peculiari difficoltà, e possono richiedere tecniche ed attrezzature diverse: in particolare, la scansione delle statue all’interno di musei pubblici presenta specifiche problematiche. Sono quindi lieto di poter condividere un’esperienza piuttosto singolare, che ha messo a dura prova sia le nostre competenze, sia gli strumenti che abbiamo utilizzato.
Il lavoro
Questo servizio riguardava la scansione di cinque statue di grandi dimensioni (circa 3 m). Nei primi due casi (Apollo e Dafne e Perseo e Medusa) si trattava di accurati modelli in grandezza naturale presenti presso gli studi di Cinecittà. Le altre tre statue sono originali conservati nella sala dei 500 del museo degli Uffizi a Firenze, collocati su basamenti alti circa due metri.
Le esigenze del committente
Il lavoro è stato commissionato un importante azienda che si occupa di effetti speciali. L’obiettivo era quello di ottenere modelli digitali, da utilizzare per una produzione cinematografica di un film d’azione. Non conosco fino in fondo i dettagli, ma credo che nel film le statue siano coinvolte in un qualche evento catastrofico (esplosioni?), ed era quindi ovviamente necessario utilizzare delle “copie”.
Le complicazioni
Le due statue presenti a Cinecittà dovevano essere trasportate dal magazzino nel quale normalmente si trovano in uno studio che potesse consentirne l’acquisizione. Dotato quindi di un’illuminazione omogenea, e di sufficiente spazio per consentire l’acquisizione del modello, che è avvenuta utilizzando una normale scala, di altezza considerevole (c.a. 4 metri). Il trasporto non ha presentato particolari problemi: le statue erano di resina, costituite da più parti che sono state assemblate nello studio nel quale è avvenuta la scansione. Per quanto riguarda le statue presenti nel museo degli Uffizi, la situazione era decisamente più complicata. In primo luogo, le statue sono di marmo, assolutamente inamovibili. L’illuminazione è progettata per accentuare le ombre e permettere al visitatore di coglierne i dettagli: quanto di meno appropriato per la scansione 3D. Un ulteriore vincolo: a causa degli orari di apertura al pubblico, il tempo disponibile era soltanto di poche ore: dall’orario di chiusura serale sino alla mezzanotte. Impossibile ripetere eventualmente l’operazione in altre date. La scansione delle statue ha richiesto la costruzione di un trabattello di quasi sette metri, che è stato montato sul luogo. La loro distanza dal muro, in alcuni casi inferiore a trenta centimetri, poneva serie difficoltà di accesso alla parte posteriore. Ovviamente, non era possibile toccare in alcun modo le statue.
L’attrezzatura usata per la scansione delle statue
Più che mai abbiamo apprezzato la versatilità degli scanner hand-held, e la leggerezza e velocità di Artec EVA. Queste caratteristiche hanno permesso di scegliere gli angoli di ripresa e le traiettorie più adatte per acquisire tutti i dettagli nel minor tempo possibile. Con uno scanner fisso (su treppiede), la scansione sarebbe stata pressoché impossibile. Molto comoda anche la possibilità di acquisire le scene immediatamente, senza dover effettuare alcun tipo di calibrazione o regolazione. Lo scanner, alimentato a batteria, è stato collegato ad un portatile Sager abbastanza “prestante” (I7 4Ghz con 32 Gb di RAM), che ci ha permesso di acquisire con una velocità media di 13-14 fotogrammi al secondo. Di grande ausilio l’ultima versione di Artec Studio (13), che assicura una regolazione continua della sensibilità dello scanner, consentendo una buona qualità di acquisizione anche con un’illuminazione radente che accentuava le ombre. Un altro vantaggio della versione 13 nella scansione delle statue è stato la elevata quantità di fotogrammi visibili nell’anteprima in tempo reale. Questo ci ha permesso di controllare accuratamente quali zono erano già state scansionate, e quali ancora dovevano venire acquisite. L’impressionante velocità di questa versione del software è stata provvidenziale. Ci ha permesso di effettuare l’allineamento dei vari frammenti pressoché in tempo reale: in questo modo abbiamo potuto evitare di riprendere per sicurezza più dati di quanto non fosse necessario.
L’intero lavoro di scansione delle statue ha richiesto circa 9 ore, delle quali circa 5 al museo degli Uffizi, durante le quali sono stati acquisiti circa 115 Gb di dati.
Scansione delle statue: Ercole e il cinghiale
Il postprocessing è stato effettuato pressoché interamente con Artec Studio 13, ad esclusione della ricostruzione di alcune piccole parti nel retro delle statue che non erano raggiungibili con lo scanner per la distanza dal muro insufficiente, effettuata con ZBrush.
L’adozione di un software CAD parametrico quale ausilio per la progettazione è tendenzialmente un matrimonio indissolubile: Trovare il migliore software CAD parametrico per le proprie esigenze è difficile come trovare una buona moglie. Se sceglierlo ed apprenderlo può essere complicato, sostituirlo lo è ancora di più. Un cambiamento comporta infatti il rischio di vedere andare in fumo tutti gli investimenti fatti nella realizzazione di parti riutilizzabili. Senza contare, in diversi casi, i vincoli contrattuali…
Conviene quindi scegliere bene. Perché la scelta dovrà durare a lungo.
Allora, chiariamo innanzitutto cosa si intende per software CAD parametrico. Perché parametrico. A chi serve che sia proprio parametrico.
Modellatori parametrici VS modellatori free form
Guardando un modello finito, una parte meccanica, un edificio, un mobile, è difficile dire se è stato realizzato o meno con un software parametrico. I modelli possono apparire assolutamente identici.
La differenza salta invece all’occhio non appena ci accingiamo ad apportare una modifica. Immaginiamo che il modello contenga un ingranaggio con 36 denti. Ed immaginiamo di esserci resi conto che i denti dovrebbero essere invece 34. Se il modello è stato realizzato con un software free form, abbiamo poche chances: con ogni probabilità dovremo ricostruire da zero l’ingranaggio. Al contrario, se è stato utilizzato un decente software parametrico, sarà sufficiente modificare il parametro Numero denti e l’ingranaggio verrà rigenerato automaticamente con le nuove caratteristiche.
Questo è un caso molto semplice, utilizzato a puro titolo esplicativo. Un valido software CAD parametrico può controllare situazioni molto più complesse. Ad esempio, si potrebbe progettare un motore modulare che può prevedere configurazioni a 4,5 o 6 cilindri. A fronte della variazione di un semplice numero, la rigenerazione dovrebbe influire sulla struttura del monoblocco, dell’albero motore, dell’albero a camme, sul numero dei pistoni e bielle, delle valvole e degli iniettori, sui circuiti di alimentazione, di scarico, etc.
Un motore, modellato con un software parametrico
Cioè, nel caso in cui il numero di cilindri dovesse passare da quattro a sei, un valido software parametrico potrebbe risolvere la situazione in pochi secondi, risparmiandoci decine o centinaia di ore di lavoro. E allora, perché non utilizzare sempre e comunque software parametrici?
Tutto ha un prezzo. Per fare in modo che il programma possa risolvere un problema complesso come quello appena discusso, nel corso della progettazione il programma va istruito sulle circostanze, condizioni, regole e vincoli in modo che a fronte di una richiesta di cambiamento possa compiere le scelte corrette. In altri termini, la previsione di tutte le possibili varianti e l’attuazione di tutti gli accorgimenti necessari per risolverle implicana tempi di modellazione decisamente più lunghi rispetto a quelli necessari per un approccio free form.
In altre, più semplici parole, l’approccio parametrico è conveniente quando già in partenza si contempla la possibilità che il nostro progetto possa o debba subire variazioni.
I software parametrici rappresentano quindi la scelta ideale quando si prevede che il “prodotto” presenterà delle varianti, quando appartiene ad una “famiglia di prodotti” con caratteristiche comuni, o quando verrà riutilizzato nel contesto di assemblaggi più complessi di volta in volta con caratteristiche diverse. Un esempio semplice e calzante è quello di un bullone. Nell’ambito di una certa famiglia, ad esempio bulloni a testa esagonale, la geometria generale è sempre molto simile; tuttavia può variare il diametro, la filettatura, la lunghezza, la parte filettata etc. Ebbene, se dovessimo modellare un bullone, sicuramente sarebbe conveniente un approccio parametrico.
Il migliore software CAD parametrico: quanto “costa” definire le possibili varianti
Va bene. Abbiamo capito quali sono i casi in cui è preferibile utilizzare un software parametrico. Abbiamo anche capito che per fare in modo che il modello reagisca correttamente alle modifiche introdotte è necessario “insegnargli a comportarsi”, descrivendo delle regole, e che questo richiede tempo e una chiara visione progettuale.
Cerchiamo ora di capire come si svolge questo procedimento, se esistono metodi preferibili rispetto ad altri, a quanto esattamente ammonta lo sforzo aggiuntivo per fare in modo che il nostro modello possa adattarsi ai cambiamenti come previsto.
Il migliore software CAD parametrico: le tipologie di variazione
Facciamo subito una debita premessa, o meglio una distinzione. Un conto sono le variazioni dimensionali; un altro conto sono le variazioni geometriche, e un altro conto ancora le variazioni logiche. Si tratta di tre livelli totalmente diversi che richiedono la presenza di differenti risorse da parte del software CAD.
Nel primo caso – variazioni dimensionali – l’aspettativa appare relativamente semplice. Variando dei valori, dovrà essere possibile allungare o accorciare il nostro modello, cambiare uno spessore o il diametro di un foro. In realtà, ho usato volutamente il termine appare, poiché non si tratta di un banale intervento di scala: ci attendiamo che variando una lunghezza, non accada magari che un foro presente sul modello divenga ovale. Quindi anche in questo caso, delle regole che specifichino come le nostre variazioni dimensionali dovranno modificare il modello saranno comunque necessarie. Ma certo, questo risulta comunque il caso più semplice.
Nel secondo caso – variazioni geometriche – il livello di complessità aumenta. E’ il caso dell’ingranaggio, menzionato all’inizio dell’articolo. Il cambiamento del numero di denti, modificando il valore di una variabile, comporta una geometria totalmente diversa del modello. E’ intuibile che le regole che dovremo introdurre per prevedere tale cambiamento, e fare in modo che venga risolto correttamente, saranno decisamente più articolate e complesse.
Nel terzo caso – variazioni logiche – pensiamo a qualcosa che introduce una sorta di “intelligenza” nel modello. Può funzionare l’esempio del motore. La variazione del numero di cilindri implica ripercussioni sull’intera catena cinematica, un aumento del numero di parti coinvolte, magari dovrà riflettersi anche su interventi relativi al telaio piuttosto che la trasmissione.
Questi diversi livelli di complessità evidenziano che i software CAD parametrici non sono tutti uguali: la capacità di reagire ad un cambiamento può propagarsi, a seconda delle rispettive potenzialità, sino al primo, al secondo o al terzo di questi livelli. Ed anche ad altri, che per semplicità non sono stati citati in questa trattazione.
Il migliore software CAD parametrico: la definizione delle regole
Tutto ciò che abbiamo fin qui discusso conduce al sostanziale interrogativo: come si fa, e quanto è difficile definire le regole di comportamento del modello a fronte di variazioni?
Sino ad oggi, si sono distinti due fondamentali approcci. Quello basato sulla creazione di entità di costruzione, e quello parametrico-variazionale (basato su sketch). Discutiamone.
Il primo metodo ricorda, almeno nella forma, l’approccio “classico” al disegno tecnico. Che come qualcuno può ricordare, presupponeva il tracciamento di linee/archi di costruzione a matita, che venivano successivamente parzialmente “ricalcate” a china con dei tiralinee, ormai del tutto scomparsi.
Il tiralinee Graphos con una serie di pennini
Nella sostanza, questo metodo è basato sul rapporto gerarchico tra gli elementi successivamente creati, che sono legati tra loro da una relazione parentale e da un vincolo parametrico.
Ad esempio, tracciando una linea di costruzione parallela ad una linea già esistente, questa diviene “figlia” della precedente, controllata da un vincolo di parallelismo e caratterizzata dal parametro “distanza”, che può assumere valori costanti, o venire associato ad una variabile attualizzata da un’espressione o una funzione. Il sistema aggiorna costantemente una rigorosissima “anagrafe”, nella quale registra tutte le “nascite” dei nuovi elementi, le relazioni che hanno con l’elemento genitore e i parametri che le regolano.
A fronte di un cambiamento di parametri, la risposta del sistema è immediata e sicura, poiché questa sorta di “albero genealogico” non ammette ambiguità. L’approccio basato su entità di costruzione corrisponde da un punto di vista figurato ad un edificio costruito su solide fondamenta, che ne determinano contemporaneamente la struttura e la stabilità. E’ l’approccio preferito per applicazioni ingegneristiche, nelle quali nulla deve essere lasciato al caso, e particolarmente indicato nel caso di grandi assemblaggi (migliaia di parti) a causa della sua intrinseca velocità di ricalcolo. Può essere impiegato sia per la realizzazione di modelli 3D complessi, ma anche per disegni 2D parametrici che contengono migliaia di entità.
Vincoli geometrici e dimensionali in uno sketch
Sul fronte opposto, il secondo metodo si basa sulla creazione di uno sketch, costituito da linee grafiche tracciate senza il supporto di entità di costruzione. I vincoli che legano gli elementi vengono introdotti successivamente, in relazione alle esigenze. Ad esempio, la linea a è parallela alla linea b, o passa per il punto C e termina nel punto D. Questo sistema, che è largamente il più diffuso nei CAD parametrici, risulta ad un primo sguardo più veloce (non è necessario creare prima linee di costruzione e poi ricalcarle). Non implica la necessità di rispettare una sequenza temporale nella creazione degli elementi: sostanzialmente, non ci sono genitori e figli, ma piuttosto “coniugi”: i vincoli sono imposti alle coppie di elementi coinvolti. E’ meno rigoroso rispetto al precedente metodo, e sottintende il rischio che il modello possa essere troppo poco o troppo vincolato (sotto-sovravincolato). Si presta più per la realizzazione di parti “semplici” (generalmente gli sketch sono costituiti da un numero limitato di linee), soprattutto quando l’intento progettuale non è del tutto definito dall’inizio, e non viene generalmente utilizzato per complessi disegni parametrici 2D. Volendo riutilizzare anche in questo caso un paragone figurato, se l’uso delle linee di costruzione corrisponde alla edificazione con fondamenta, l’impiego degli sketch somiglia più a quella di case prefabbricate.
La maggiore velocità di descrizione del disegno con il metodo “Sketch” è in realtà soltanto apparente. In alcune circostanze, le priorità univoche che possono venir attribuite agli elementi attraverso l’uso delle linee di costruzione, consentono un’esecuzione più veloce e “robusta”.
Ad esempio, immaginiamo di dover costruire il seguente profilo, per realizzare una semplice staffa.
Profilo di una staffa
In un caso come questo, la realizzazione attraverso linee di costruzione risulta molto più veloce che non attraverso l’imposizione di vincoli geometrici e dimensionali
Questi sono i vincoli ai quali il modello è sottoposto:
Le dimensioni iniziali sono 100 mm x 50 mm. L’angolo è di 45°. Il raccordo deve essere tangente alla base e al lato obliquo. Il foro interno è concentrico con il raccordo, con un offset iniziale di 10 mm. rispetto a quello esterno. A fronte di variazioni dimensionali, le condizioni di tangenza del raccordo e la concentricità del foro debbono venire mantenute.
I due seguenti video mostrano la differenza tra i due approcci.
Il migliore software CAD parametrico: quale approccio scegliere?
A questo punto, risulta evidente che i due metodi possiedono entrambi specifiche peculiarità, che possono renderli più o meno adatti ad affrontare i differenti casi.
Mentre in passato i diversi programmi erano legati ad uno dei due modi, che veniva difeso ad oltranza come l’approccio in assoluto preferibile, T-FLEX CAD, da sempre sostenitore della superiorità dell’approccio tramite linee di costruzione, ha introdotto nella versione 16 anche la possibilità della parametrizzazione variazionale basata su sketch. In aggiunta, cosa decisamente interessante, i due metodi possono convivere in T-FLEX persino nel medesimo disegno, consentendo al designer di esprimere i propri intenti progettuali con la modalità di volta in volta preferita.
Il migliore software CAD parametrico: gli altri fattori di scelta
Naturalmente, oltre all’aspetto che riguarda la modalità di gestione delle regole e dei vincoli, che risulta in ogni caso basilare, moltissimi altri fattori possono determinare la scelta di un programma piuttosto che un altro. Ne elenco alcuni, che saranno oggetto di approfondimenti separati:
Costo
Tipo di licenza (es. con scadenza, perpetua, etc.)
Frequenza degli aggiornamenti
Costi di manutenzione (gratuita, obbligatoria, facoltativa etc.)
Disponibilità di moduli aggiuntivi (dinamica, analisi, CAM/CAE, stampi etc.)
Filtri di import/export, compatibilità con altri applicativi
Interfaccia, facilità d’uso, curva di apprendimento
Assistenza
L’elenco è lungo, e potrebbe proseguire con molti altri criteri di selezione. La scelta non è facile: come ho affermato all’inizio, si tratta di un matrimonio più che di un fidanzamento. Dunque armiamoci di santa pazienza. Prepariamoci a partecipare a dimostrazioni, possibilmente mirate sulle proprie esigenze di modellazione. Proviamo a pretendere che il rivenditore ci mostri come risolverebbe i nostri problemi. Questo almeno ci consentirà di valutare la professionalità del nostro interlocutore, alla quale potremmo in futuro dover ricorrere.
T-FLEX CAD 16, il monarca assoluto della progettazione ingegneristica parametrica, si presenta con una versione profondamente rinnovata. Il potente M-CAD Top Systems introduce infatti nuove possibilità per lo sketching, efficaci strumenti per la realizzazione di assemblaggi complessi, nuove soluzioni tecnologiche per il design elettrico e delle lamiere, realtà virtuale e molto ancora.
Top System ha aggiunto a T-FLEX CAD migliorie sviluppate sulla base di suggerimenti degli utenti, e nuove funzionalità che ne incrementano ulteriormente la flessibilità e la produttività, per rendere più efficace il flusso di progettazione e ridurre il time-to-market.
Sergey Kozlov, direttore della Ricerca e Sviluppo Top Sytems, dice: “Le nuove potenzialità introdotte in T-FLEX CAD 16, in particolare un esclusivo sistema ibrido di sketching e la possibilità di sviluppare assemblaggi di estrema complessità, consentono ai nostri utenti di ridurre ulteriormente il tempo di sviluppo di nuovi progetti, e di facilitare intelligenti decisioni che consentono di realizzare prodotti migliori. L’integrazione di nuovi strumenti per il design elettrico e meccanico permettono di sviluppare più velocemente e con costi più contenuti i dispositivi elettromeccanici che il mercato richiede. Siamo anche particolarmente orgogliosi di presentare la nostra avanzata soluzione di realtà virtuale, che non soltanto migliora l’esperienza di visualizzazione dei modelli CAD, ma permette di eseguire varie operazioni di progettazione nel mondo virtuale, con un semplice clic.”.
T-FLEX CAD 16 impiega l’ultima versione del consolidato kernel parasolid, che utilizza nuovi algoritmi ad altissima precisione geometrica per garantire la migliore qualità dei risultati. Sono state aggiunte svariate opzioni nella modellazione di parti, come Bridge e strumenti per la generazione di eliche. Il disegno e la messa in tavola 2D sono stati potenziati con l’introduzione di nuovi elementi di sketching, nuovi strumenti parametrici variazionali e aggiornati comandi per operare con le diverse entità di disegno. T-FLEX CAD 16 continua ad assicurare il massimo grado di inteoperabilità con altre piattaforme CAD, attraverso il supporto di una moltitudine di formati standard, ed in molti casi attraverso la capacità di importare direttamente modelli parametrici in formato nativo con lo storico dei comandi.
Ampiamente potenziata tutta la sezione relativa alla modellazione di elementi in lamiera, con l’introduzione di nuovi comandi come Gusset (Gherone), Taglio normale, Orlo etc., nuove funzionalità per i comandi già esistenti, un’anteprima dinamica semitrasparente e manipolatori avanzati.
La progettazione degli assemblaggi risulta ora ulteriormente semplificata e potenziata. Modelli di grande complessità possono venire realizzati in meno tempo e con meno sforzo. E’ possibile sfruttare la geometria di elementi esistenti dell’assemblaggio per realizzare nuove parti, e creare sub-assemblaggi nel contesto. L’accesso a qualsiasi oggetto attraverso l’intera gerarchia di un assemblaggio di grande complessità è possibile senza difficoltà.
Il nuovo modulo Add-On T-FLEX Electrical rappresenta una nuova applicazione, totalmente integrata e ricca di strumenti per lo sviluppo di sistemi elettrici. Consente la realizzazione di circuiti bidmensionali e la creazione di componenti elettrici 3D, la realizzazione di cablaggi, connettori e connessioni, la generazione di dettagliati report che includono sia parti elettriche sia parti meccaniche.
Le nuove funzionalità aggiunte a T-FLEX Analysis, a T-FLEX Dynamics, T-FLEX Nesting e T-FLEX CAM rendono la piattaforma T-FLEX CAD uno strumento multifunzione in grado di affrontare e risolvere le più complesse sfide progettuali. La nuova applicazione T-FLEX VR, che impiega le più avanzate tecnologie, permette di esplorare i modelli e gli assemblaggi in realtà virtuale, e di eseguire avanzate operazioni come l’animazione e le analisi ingegneristiche.
Tutte le nuove potenzialità introdotte in T-FLEX CAD 16 offrono al team di progettazione tutti i vantaggi dell’integrazione con T-FLEX DOCs, il PLM professionale Top Systems che semplifica la gestione dei dati e degli incarichi ai progettisti.
Top Systems
Fondata nel 1992 a Mosca, l’azienda sviluppa e commercializza soluzioni MCAD/CAM/CAE/PLM flessibili, facili da utilizzare e caratterizzate da costi competitivi.
Anche quest’anno si è svolto, stavolta a Bruxelles, il tradizionale Artec Partner Meeting, importante momento di incontro tra l’azienda e i suoi oltre 110 distributori mondiali.
Tre incredibili giornate, piene di eventi. Si, quest’anno è stata aggiunta una giornata extra, dedicata a sessioni di training, alla discussione dei piani futuri con il personale addetto alle vendite, e la ormai consueta competizione di scansione.
Il primo giorno è iniziato con il tradizionale messaggio di benvenuto di Art Yukin, seguito da coinvolgenti presentazioni sulle tendenze future, una dimostrazione del nuovo scanner Leo e delle funzionalità dello scanner Ray. E’ stato anche presentato il nuovo Artec Studio 13 e della recentissima piattaforma automatica rotante.
Al termine della parte “ufficiale”, tutte le nostre capacità di risolvere complicati problemi sono state messe alla prova nella sfida di abilità nel bellissimo Chalet Robinson. Una corsa contro il tempo di due ore, che ci ha visto impegnati in un buio pressoché totale a trovare la soluzione del puzzle. Fantasmagorici fuochi artificiali sul lago, e una deliziosa cena hanno concluso in modo perfetto la prima serata nell’ospitale Belgio.
Il secondo giorno, denso di presentazioni curate sia dei dirigenti Artec, sia dei partner più attivi e creativi, è stata l’occasione per approfondire tecniche marketing e cogliere opportunità di sviluppo del business. Statistiche di vendite e penetrazione nel mercato, straordinari case studies AR e VR, approfondimenti su MyArtec3D, Artec Support Centre e gli altri strumenti che possono semplificare la nostra attività.
In serata, la premiazione (Wow!) dei partner eccellenti e dei traduttori di Artec Studio 13, e interessanti cases studies delle più interessanti applicazioni in tutto il mondo. Abbiamo visto la scansione dei delfini per l’applicazione di sensori, la creazione di applicazioni VR in grado di trasportare antichi reperti in 3D nello smartphone.
Nella notte, proprio come una grande e felice famiglia, abbiamo cenato insieme in uno stupendo ristorante, Le Roy d’Espagne, nella Grand Place, il cuore di Bruxelles. Buona musica, ottimo cibo, balli sfrenati in un clima di grande allegria sono stati l’occasione per festeggiare il piacere di rincontrarci, una volta l’anno, e condividere i risultati raggiunti insieme. L’ Artec Partner Meeting 2018 ha confermato ancora una volta lo spirito di corpo che questa azienda è riuscita a costruire.
Il tumulto attorno a Leo. L’incontro con una nuova generazione di scanner 3D intelligenti.
Se ne parla da molto. Lo sviluppo è stata una sfida senza precedenti contro i limiti della tecnologia. Ma è arrivato, e non potevano attendere oltre per condividere le fantastiche notizie riguardo all’unico, al solo Leo. Il Re degli scanner 3D è finalmente arrivato. Capostipite di una categoria del tutto nuova, nella sua implementazione definitiva è ancora migliore, veloce e pieno di nuove funzionalità per semplificare la scansione 3D.
Un numero 13 fortunato
Dopo un lungo lavoro nello sviluppo di nuovi strumenti e funzionalità, finalmente annunciamo il rilascio dell’ultima e più potente versione del nostro software di scansione professionale. Artec Studio 13 è progettato per sfruttare al massimo le potenzialità degli scanner, ed ottenere migliori risultati dai vostri dati 3D. La nuova versione utilizza un motore di rendering inedito, in grado di aumentare di oltre 10 volte le prestazioni, rendendo fluida e piacevole la navigazione 3D di grandi modelli. Una più agevole cattura dei dati è assicurata dalla modalità Radar, che consente con facilità di mantenere la distanza ottimale dal soggetto. La felice combinazione di prestazioni e funzionalità innovative introdotte con Artec Studio 13 virtualmente trasformano i vostri Eva e Space Spider in scanni completamente nuovi.
La nuova tavola rotante automatica
Proprio quando le novità sui prodotti sembravano esaurite, è arrivato l’annuncio (e la presentazione) della nuova tavola rotante professionale Artec 3D. Incredibilmente semplice da utilizzare, e pensata in particolare per gli scanner Eva e Spider, la nuova tavola è completamente automatica e “a prova di errore”. Nel caso in cui il tracciamento dell’oggetto venga eccezionalmente smarrito, la tavola si ferma e ruota in senso opposto, sino a ricostruire perfettamente gli elementi mancanti.
In uno scenario nel quale l’obsolescenza programmata si diffonde come strumento per forzare gli utenti ad aggiornare il proprio hardware, Artec Studio 13 – caso più unico che raro – conferma che il più importante produttore di scanner 3D hand held si muove in direzione totalmente opposta. Come era già avvenuto per le release 11 e 12, il nuovo Artec Studio 13 migliora nettamente le prestazioni degli scanner esistenti e ne accentua le potenzialità, più di quanto avrebbe potuto fare un restyling o una profonda revisione dei dispositivi.
Una buona scansione con apparecchi a brandeggio manuale come gli EVA e gli Space Spider dipende da molti fattori. In particolare, la manualità dell’operatore, la sua capacità di individuare la traiettoria ottimale, la fluidità e velocità del movimento, la distanza e l’angolazione dello scanner rispetto al soggetto possono fare la differenza. E quanto più il software è in grado di controllare ed ottimizzare questi fattori, tanto più la scansione diviene semplice ed efficace, anche ove eseguita da un operatore inesperto.
Lo sforzo di Artec (oltre a quello di produrre dispositivi hardware di qualità professionale) negli ultimi anni è stato proprio questo. Scrivere un software, e migliorarlo costantemente, in modo che l’esperienza di scansione divenisse più “user friendly” possibile.
Nella versione 12, questo sforzo è stato soprattutto concentrato nelle fasi di posprocessing: con l’avvento di Autopilot, un vero e proprio “pilota automatico”, i complessi passaggi necessari a trasformare le scansioni grezze, una serie di fotogrammi 3D in un modello tridimensionale pronto all’uso (es. stampabile) si è ridotto alla pressione di un pulsante. Il programma, dotato di strumenti di analisi automatici in grado di stabilire i parametri ottimali degli algoritmi, si occupava di effettuare le scelte ottimali prima demandate all’operatore.
In Artec Studio 13, l’attenzione si è concentrata invece proprio sulla fase di scansione, con l’introduzione di strumenti che consentissero di acquisire fotogrammi “grezzi” di migliore qualità. In primo luogo, un feedback in tempo reale che consentisse di ottimizzare la distanza tra scanner e soggetto. Nelle versioni precedenti, un istogramma laterale forniva un’indicazione istantaneamente aggiornata della distanza attuale. L’operatore, tenendo d’occhio l’istogramma poteva avvicinarsi o allontanarsi quanto necessario per catturare dati della migliore qualità possibile. Nella nuova versione, questo pur efficace strumento è stato superato, con la modalità di rappresentazione Radar 3D. Il campo attualmente inquadrato dallo scanner viene rappresentato in sfumature di colore, che vanno dal rosso-giallo, al verde, all’azzurro. Il colore verde rappresenta una distanza ottimale, il rosso-giallo una distanza troppo vicina e l’azzurro una troppo distante. Le zone già precedentemente acquisite sono rappresentate con le texture del modello. La differenza tra il “vecchio” istogramma e la nuova rappresentazione è che l’operatore non è costretto a controllare contemporaneamente sia la costruzione del modello, sia l’istogramma, con continui cambiamenti di messa a fuoco: il feedback della distanza ottimale è immediatamente visibile direttamente sul modello. Lo sguardo dell’operatore non viene “distratto” dalla necessità di consultare continuamente un “misuratore di distanza” laterale.
Sempre in questa direzione (quella di ridurre l’ansia dell’operatore, che magari si trova in posizioni scomode o è costretto ad acquisire nel più breve tempo possibile un soggetto che potrebbe spostarsi es. corpo umano), va il considerevole aumento dei fotogrammi acquisiti visibili. Nelle versioni precedenti, solo un certo numero di fotogrammi veniva “conservato” contemporaneamente attivo sul video. In Artec Studio 13 questo numero è notevolmente aumentato, con un grande vantaggio. Quello di evitare che la stessa area (che magari è scomparsa dal video) venga acquisita più volte, o peggio che alcune zone non vengano acquisite affatto.
Notevolmente migliorate anche le prestazioni. Registrazione globale con un’efficacia di oltre il 250% rispetto alla versione 12, ed una velocità sino a venti volte superiore alla versione 11. La registrazione è inoltre ora personalizzabile, per consentire un migliore sfruttamento anche di dati grezzi di modesta qualità. La registrazione finale è ora fino al 50% più veloce, e l’ispezione dei dati, grazie alle nuove modalità X-Ray e Max Error risulta facilitata. La manipolazione del modello, che ora può raggiungere i 500.000.000 di poligoni, è incredibilmente fluida, e gli strumenti di editing potenziati riducono sensibilmente i tempi di postprocessing. La navigazione, grazie al nuovo cubo 3D appare semplificata, e l’esportazione dei dati consente ora di ricavare anche sezioni DXF aperte per un più agevole reverse engineering.
Insomma, Artec Studio 13 rinnova profondamente le già vaste potenzialità degli scanner EVA e Space Spider, e non solo. La nuova versione integra anche la piena compatibilità con i nuovi Artec Leo e Artec Ray. Una “Major Release” della quale è davvero difficile fare a meno.
Le caratteristiche complete di Artec Studio 13 sono disponibili in una brochure PDF, scaricabile qui.
I colori fanno parte del nostro linguaggio da sempre. Profondamente codificati nel nostro inconscio, producono reazioni istintive, stimolano stati d’animo, ci aiutano a comprendere velocemente l’ambiente che ci circonda. Li utilizza la natura, per segnalare condizioni di pericolo, la commestibilità (o meno) di piante ed animali, la fertilità, la salute e la malattia. L’ ha nel corso di tutta la sua storia utilizzati l’uomo, dalle pitture tribali, alle uniformi di guerra, ai mezzi di trasporto pubblici e alle loro linee di percorrenza, come potentissima forma di comunicazione non verbale.
I colori sono essenziali.
Ma nella stampa 3D, che ormai ci consente di materializzare le strutture più articolate, salvo eccezioni legate a sistemi molto costosi – i colori non sono ancora “approdati”. Agli oggetti che creiamo manca quella potenza espressiva che il colore è in grado di aggiungere alla forma.
Ad aggirare, almeno parzialmente, questa limitazione, ci ha pensato una società Canadese, la Mosaic Manufacturing, che ha sviluppato un sofisticato ma abbordabile dispositivo in grado di “alimentare a colori” le nostre stampanti FDM monocromatiche.
La stampa FDM a colori
Il primo approccio dei produttori di stampanti FDM per consentire la realizzazione di modelli multicolore (o multimateriale) è stato quello di moltiplicare gli estrusori. Molte stampanti ne usano due, ma ne esistono alcune che arrivano a cinque estrusori. Da un punto di vista pratico ed economico non è questa la soluzione migliore. La “moltiplicazione” degli estrusori implica infatti un aumento generale della complessità, delle masse mobili e del costo della macchina. Alcuni tra queste implicazioni, es. l’aumento delle masse mobili, influenzano negativamente la qualità di stampa. Le maggiori dimensioni del gruppo di stampa riducono inoltre il volume utile. Infine, salvo la presenza di accorgimenti capaci di sollevare (e “chiudere”) gli estrusori temporaneamente inattivi, questi tendono a “perdere” materiale, compromettendo il risultato finale.
Una stampante con cinque estrusori. La complessità è impressionante.
La soluzione Mosaic Palette + è radicalmente diversa.
Mosaic Palette +
Innanzitutto, si tratta di un dispositivo esterno applicabile alla maggior parte delle stampanti monoestrusore. Questo permette di utilizzarlo di volta in volta con più macchine (ovviamente, se l’utilizzatore possiede più macchine). In secondo luogo, dal momento che viene utilizzato un solo estrusore, e questo non è mai “inattivo”, il fastidioso problema dell’oozing (perdita di materiale) viene risolto alla radice. Il funzionamento è decisamente ingegnoso. Mosaic Palette + si presenta come una compatta “scatola”, con quattro diversi ingressi filamento e una singola uscita. Nel corso di un’iniziale calibrazione, guidata da esplicative animazioni, il dispositivo “apprende” le caratteristiche della stampante che dovrà alimentare. Quanto è lungo il percorso dall’uscita del filamento sino all’ugello di stampa, e quanto tempo la macchina impiega per stampare un file campione. Sfruttando queste informazioni, il software in dotazione (Chroma) elabora il programma di stampa prodotto dallo slicer in modo che il dispositivo possa predisporre opportuni segmenti di filamento in più colori o materiali in base alle caratteristiche dell’oggetto da stampare. I diversi segmenti vengono automaticamente “saldati” tra loro all’interno della macchina, in modo che in uscita venga prodotto un unico filamento, predisposto per quella particolare stampa.
Poco prima dell’estrusore, un accurato encoder misura la quantità di materiale effettivamente consumata, ed un magnete collocato in modo che possa “slittare” sul tubetto di uscita, stimola Mosaic Palette + ad erogare la quantità necessaria. Quando l’estrusore “richiama” filamento, trascinandolo, il magnete si avvicina al corpo della Mosaic Palette +. Questo fa attivare i motori, che erogano filamento. Nel caso in cui la quantità di materiale resa disponibile dai motori della Palette + fosse eccessiva, il magnete si allontanerebbe, interrompendo la loro erogazione.
Ma cosa accade in una stampa particolarmente lunga? Come è possibile calcolare la lunghezza degli spezzoni che verranno utilizzati con sufficiente precisione quando si tratta di decine o centinaia di pezzi? Il sistema è virtualmente “a prova di tolleranze”. L’errore che col tempo potrebbe accumularsi viene corretto attraverso opportune “pause” nell’erogazione, che vengono interpretate, congiuntamente ai dati forniti dall’encoder, come “segnali di sincronismo”. Questi segnali consentono di compensare eventuali discrepanze tra il materiale prodotto da Mosaic Palette + e quello effettivamente “consumato” dalla stampante. Ma non è tutto. Per aggiungere un ulteriore livello di sicurezza, e per “scartare” le zone di giunzione tra i segmenti, che produrrebbero colori sfumati, il software Chroma predispone la costruzione di una “wipe tower”, un parallelepipedo di servizio che verrà successivamente scartato. Le pause menzionate precedentemente, per non rovinare il modello, vengono effettuate durante la stampa del parallelepipedo.
Questo comporta due aspetti relativamente negativi. Un maggior consumo di materiale, e tempi di stampa più lunghi. Mediamente, la quantità di filamento utilizzata per una stampa multicolore risulta dal 10 al 50% maggiore rispetto a quella che verrebbe impiegata per una stampa monocolore. Anche rispetto al tempo, le percentuali di maggiorazione sono simili. E’ comunque uno “scotto” accettabile per ottenere una stampa a più colori (o con più materiali).
Le principali limitazioni di Mosaic Palette + delle quali tenere conto
Le soluzioni raramente sono definitive; se da un lato risolvono un problema, introducono anche vincoli, eccezioni, limitazioni. Anche in questo caso. Vediamo quali sono i requisiti per ottenere una stampa a colori (o multimateriale) di buona qualità.
Stampante “target”: deve necessariamente essere compatibile con il linguaggio GCode. Stampanti che utilizzano slicer dedicati e non consentono l’impiego di slicer terze parti potrebbero non essere compatibili con Mosaic Palette +.
Diametro del filamento. Deve essere il più possibile uniforme tra i vari materiali. Differenze consistenti porterebbero a fenomeni di sovra o sottoestrusione nelle varie zone, e a giunzioni percepibili al tatto.
Temperatura di estrusione. Deve essere uguale, o molto simile, per ovvie ragioni. L’estrusore opera infatti, indipendentemente dal segmento che sta trattando, sempre alla stessa temperatura impostata in sede di slicing.
Compatibilità “chimica” dei materiali. I diversi filamenti impiegati debbono essere “saldabili” tra loro. Se l’incollaggio non è sufficientemente robusto, la trazione da parte dell’estrusore può comprometterlo, staccando due segmenti con conseguente interruzione della stampa.
Calibrazione del dispositivo. Deve essere effettuata il meglio possibile. La corretta sincronizzazione dei materiali dipende dalla qualità della calibrazione.
Numero di segmenti. All’aumentare della quantità di segmenti utilizzati, aumentano le probabilità che la somma degli “errori” dovute alla discrepanza tra materiale prodotto e materiale utilizzato determinino uno sfasamento dei colori. E’ quindi conveniente contenere, ove possibile, questo valore.
Conclusioni
Anche se con alcuni vincoli e con alcune limitazioni, Mosaic Palette + rappresenta una soluzione estremamente interessante per convertire una stampante monoestrusore anche “economica” in una stampante a colori. Partendo da un investimento che può anche superare di poco i 1000€ stampante inclusa, possono venire prodotte stampe che impiegano sino a quattro diversi materiali. E questo, decisamente non è poco. Mosaic Palette + è disponibile presso ShareMind con profili dedicati per le stampanti commercializzate.
HyVision, giovane azienda Coreana già saldamente sul podio delle stampanti 3D Desktop di fascia prosumer con le sue Cubicon 110F Single e 210F Style, rimarca con prepotenza, presentando la nuova sua 310F Single Plus, che in questo mercato si può ancora, – e si deve – innovare.
Già. La cosa sembrerebbe ovvia. Ma da tempo, produttori saliti alla ribalta per la qualità ed affidabilità dei loro progetti sembrano essersi fermati. Nell’ultimo periodo, sembra accadere quello che accade nei periodi di stanca del mercato automobilistico. Vetture col tetto bicolore, versioni “speciali” con nomi di cantanti, tennisti, e la proliferazione di appellativi come executive, limited, exclusive… Per nascondere la carenza di idee e rinvigorire le vendite di modelli in caduta libera. Fino al tonfo di una stampante in cui sono aumentate solo le dimensioni (e il nome, di cento unità), con tutti i problemi che derivano dalla semplice applicazione di una scala tridimensionale.
Ebbene, in questo panorama deludente, HyVision ridisegna – tranne alcuni aspetti della carrozzeria – la già ottima 110 Single con una meccanica ed elettronica innovative, aggiungendo funzionalità e caratteristiche che conferiscono alla nuova 310F Single Plus la meritata patente di un prodotto professionale.
Ma vediamola in dettaglio.
Un design accurato
Già al primo sguardo si intuisce la meticolosità con la quale il progetto è stato industrializzato. Gli elementi estetici della carrozzeria (che è disponibile in due colori – canna di fucile e bianco) sono stampati ad iniezione. Il pannello superiore è trattato con un piacevole rivestimento soft-touch. Il design è sobrio e funzionale, con una comoda accessibilità garantita da tre diversi sportelli. Il nuovo pannello LDC a colori touch screen, inclinato di 45 gradi, utilizza icone chiare ed è ben leggibile da qualsiasi angolazione. La bobina è interna, ma molto facilmente accessibile, come il filtro frontale.
L’interfaccia, basata nella versione 110F su un pannello monocromatico ed un classico Jog, è stata totalmente rivista, con l’adozione di un ampio schermo LCD a colori touch screen. Ma non è soltanto l’adozione di un hardware più moderno e piacevole a fare la differenza. Nell’uso del nuovo pannello si può apprezzare la cura con la quale è stata scelta la grafica, per semplificare e rendere più facilmente comprensibili le azioni ed i comandi. Questa è la differenza tra il semplice “assemblare”, e il più complesso “progettare”. Il pannello della Cubicon 310f risulta, per qualsiasi operazione si debba compiere, incredibilmente facile da usare, tanto da rendere pressoché inutile il (ben fatto) manuale di istruzioni.
Ma veniamo a quello che molti (me compreso), considerano “il sodo”.
L’estrusore della macchina, anche se sembrava difficile, migliorato rispetto a quello della 110F Single, è rigorosamente intercambiabile. L’intero gruppo di stampa può essere rimosso e sostituito con una sola vite, apribile con una semplice moneta. Questo consente ad esempio di utilizzare più estrusori nel caso si impieghino materiali incompatibili tra loro, che tendono a formare composti in grado di intasare l’ugello. O, in circostanze estreme, di mettere in pausa la stampa e sostituire un estrusore in pochi secondi, per riprendere il lavoro. Preziosa soluzione per un service, che ha tempi di consegna da rispettare e non si può permettere lunghi interventi di riparazione meccanica. Il gruppo è inoltre estremamente versatile, e progettato per stampare con la stessa qualità materiali per medio-alte temperature (es. ABS), materiali per basse temperature ed alte viscosità (es. PLA) ed elastomeri. Il percorso filo, totalmente guidato, consente di stampare filamenti elastici anche particolarmente morbidi senza problemi.
Il sistema di raffreddamento è eccellente. Il flusso d’aria circonda completamente l’ugello, senza però influenzarlo. Questa caratteristica consente di stampare anche superfici particolarmente piccole isolate, senza incorrere nel rischio di deformazioni e bruciature. Oltre alla illuminazione LED generale della camera di lavoro (con un piacevole colore blu), anche l’estrusore è illuminato, per migliorare la visibilità dell’area in corso di stampa.
Naturalmente non poteva mancare nella 310F una delle caratteristiche che ha distinto le Cubicon dal “coro” delle stampanti 3D desktop: il piano di lavoro dotato di funzionalità Autoleveling Plus. Funzionalità che – tanto per cambiare – è stata ulteriormente migliorata in questo modello.
Il principio è geniale. Il piano (totalmente privo di viti di regolazione) è incernierato sul punto medio centrale posteriore, tramite un giunto sferico ad altezza fissa. Gli altri due punti di appoggio (frontale destro e frontale sinistro) sono anch’essi su giunti sferici, ma controllati da servomotori.
L’Hot End, montato su molle, è collegato ad un accuratissimo trasduttore, e viene utilizzato per rilevare, con una serie di contatti dei quali il firmware calcola la media, l’altezza del punto misurato. Nelle impostazioni predefinite, prima di ciascun ciclo di stampa, l’estrusore misura l’altezza dei tre punti di riferimento, e la corregge usando i servomotori, sino ad azzerare le differenze. Il piano di lavoro viene di conseguenza livellato perfettamente, con un dislivello tra i tre punti di 0 (zero!) micron.
Questo non è l’unico miracolo del piano di stampa della Cubicon Single Plus. Il superficiale, esclusivo trattamento ad alta resistenza è in grado di garantire, in concomitanza con una attenta gestione delle temperature, una straordinaria adesione del modello. Ma al termine della stampa – voilà – nessuna grossolana spatola è necessaria. E’ sufficiente tirare il filo di skirt iniziale (o semplicemente soffiare) per distaccare il modello, la cui superficie inferiore risulta perfetta. Il piano è inoltre fissato tramite magneti, e può essere agevolmente rimosso senza la necessità di scollegare fili.
La camera calda a convezione, il segreto di una così elevata qualità di stampa
Ed ecco l’aspetto che fa davvero la differenza tra le stampanti desktop Cubicon e la maggior parte degli altri modelli di fascia analoga. Oltre ad una carrozzeria completamente chiusa, presupposto minimo per ottenere buoni risultati con materiali ad alta ritrazione come l’ABS, la 310F integra una camera calda a convezione. All’interno dell’area di lavoro, la temperatura viene mantenuta costante, a valori programmati, per tutto il tempo necessario a completare la stampa. Questa accortezza gioca un ruolo fondamentale rispetto al risultato finale.
Evita che il modello si deformi (o potenzialmente si distacchi dal piano), e che si verifichino delle crepe nei soggetti di maggiori dimensioni, a causa di shock termici.
L’impatto non è soltanto sull’aspetto estetico, ma influisce profondamente su quello funzionale.
La compattezza, solidità e resistenza meccanica del modello stampato risultano sensibilmente superiori rispetto allo stesso modello stampato in un ambiente soggetto a variazioni di temperatura.
Gli oggetti realizzati si presentano molto simili ad analoghi oggetti stampati ad iniezione, e si propongono come realizzazioni professionali.
Nessuna brutta sorpresa
Stampe fallite a causa dell’imprevisto esaurimento della bobina di filamento? Un ricordo. Il gruppo di stampa della Cubicon 310F è dotato di un sofisticato sistema di rilevazione delle anomalie nel trascinamento filamento, che risolve questo problema. La stampa viene messa in pausa, e l’operatore può sostituire la bobina o risolvere il problema e riprendere il lavoro senza danni.
Ed oltre a questo (prezioso) accorgimento, i progettisti HyVision hanno introdotto nella meccanica dell’estrusore altre migliorie che ne facilitano l’impiego e lo rendono meno soggetto a problemi.
Ad esempio, un meccanismo a molla con una comoda leva ad azionamento rapido permette di evitare, in fase di scarico filamento, che i rigonfiamenti che si possono creare all’estremità del filamento ne impediscano la corretta estrazione. Nelle macchine con un accoppiamento rigido tra pignone e rondella antagonista questa problematica è frequente. Risolvendola con una trazione eccessiva, il rigonfiamento si può staccare all’interno del tubo di alimentazione e compromettere un successivo caricamento, richiedendo lo smontaggio meccanico dell’hot end. Anche nella ipotesi nella quale si dovesse rendere necessario un intervento sul gruppo di stampa (es. pulizia, sostituzione ugello, sostituzione ventola etc.), l’operazione può essere molto facilmente gestita “fuori macchina”, su un comodo tavolo bene illuminato, poiché è sufficiente svitare una singola vite per smontare in pochi secondi l’intero gruppo.
Il filtro a triplice azione
Le Cubicon 310F sono dotate, come nella tradizione HyVision, di un efficace filtro in grado di evitare la diffusione nell’ambiente di fumi potenzialmente tossici e di odori sgradevoli. Facilmente accessibile dal pannello frontale, per l’ispezione e la sostituzione, il filtro sfrutta tre diverse tecnologie. Impiega infatti una componente Hepa, in grado di catturare polveri sottili con diametro sino a 0,3 micron, una componente a carboni attivi, per il filtraggio dei gas tossici, e un elemento Purafil Catalyst, per il filtraggio di componenti organici.
Connettività e controllo
Una delle aree che interessate da importanti migliorie è quella legata alla connettività e al controllo delle funzioni. L’originale slot per schede SD, piuttosto delicate da manipolare, è stato sostituito da uno slot per chiavette USB, che può essere utilizzato anche per U-Disk, facilmente collocabili sull’ampio piano di appoggio. Ma oltre a questo, è stato introdotto il supporto per reti WiFi che consente di inviare job alla macchina direttamente da PC remoto. In entrambi i casi (chiave USB o connessione WiFi), i file in input vengono in realtà scritti nella memoria integrata della macchina. In questo modo, a trasferimento eseguito è possibile sia rimuovere la chiave USB, sia scollegare il PC dalla rete WiFi senza alcun problema. La stampa verrà gestita utilizzando soltanto risorse locali. Se il PC resta collegato, sarà invece possibile seguire sul monitor l’evoluzione della stampa, e monitorare temperature e altri parametri in tempo reale.
Silenziosità
Tutti i meccanismi che includono motori, guide, sistemi meccanici in movimento producono necessariamente rumore. Uno sforzo del team di progettisti, che ha implicato la revisione di alcuni aspetti dell’architettura della macchina, l’adozione di una nuova potente elettronica a 32 bit con nuovi driver, e altri interventi su diversi componenti, è stato quello di ridurre drasticamente il rumore rispetto alla versione precedente. Con un risultato eccellente. La nuova Cubicon 310F Single Plus produce un livello di rumore impercettibile già a un metro di distanza.
Il video riassume alcuni dei principali intenti del progetto, che hanno portato allo sviluppo di una macchina che costituirà nel prossimo futuro un punto di riferimento nella stampa 3D FDM desktop.
La carta d’identità della Cubicon 310F
Caratteristica
Dimensioni
554 x 579 x 524 mm (L × P × A)
Peso
Circa 25 Kg
Volume utile
240 X 190 X 200 mm (L × P × A)
Spessore layer
0,01-0,30 mm
Velocità max spostamento
500 mm/sec
Precisione di posizionamento XY
6.25 um
Precisione di posizionamento Z
1.25 um
T. max estrusore
260°
T. max piano
Elettronica
Arm Cortex 32 bit
Connettività
USB, WiFi, U-Disk
Rilevamento anomalia filamento
Si
Filtro fumi e odori
Si
Camera calda a convezione
Si
Stampa elastomeri
Si
Piano magnetico rimovibile
Si
Superficie del piano trattata (non necessita di adesivi)