Stampa 3D: le diverse tecnologie di produzione additiva

Pietro Meloni Stampa 3D

Schema Cubital

Lo schema di una delle prime macchine per prototipazione rapida apparse in Italia (1989), la Israeliana Cubital

Sebbene nel recente periodo la stampa 3D abbia conquistato l’onore delle cronache soprattutto per la diffusione di modelli desktop per uso personale basati sulla estrusione di filamenti termoplastici, a partire dagli anni 70′ sono state in realtà messe a punto svariate tecniche di produzione additiva.
Il comune denominatore tra tutte queste tecniche è la deposizione (o solidificazione) di materiale a strati (layer), ma le analogie finiscono qui: i materiali utilizzati, il loro stato iniziale, i trattamenti che subiscono per giungere alla parte finita variano da tecnologia a tecnologia. Ciascun metodo presenta vantaggi e svantaggi, ma generalmente i criteri da considerare nella scelta di un metodo piuttosto che un altro sono legati alla velocità di produzione, al costo della macchina, al costo del modello ottenuto, al costo, alle proprietà e alla capacità o meno di riprodurre i colori del materiale utilizzato.

La seguente tabella elenca le principali tecnologie di prototipazione (produzione) additiva, la tipologia del materiale originale e i materiali lavorabili.

TipologiaTecnologiaMateriali
EstrusioneFused Deposition Modeling (FDM)Materiali termoplastici (es. PLA o ABS), HDPE, eutttici, edibili, gomma (Sugru), argilla, plastilina, silicone RTV, porcellana, paste metalliche
FiloElectron Beam Freeform Fabrication (EBF)Qualsiasi lega metallica
GranulareDirect Metal Laser Sintering (DMLS)Qualsiasi lega metallica
Electron Bean Melting (EBM)Leghe di titanio
Selective Laser Melting (SLM)Leghe di titanio, leghe di cromo-cobalto, accaio inossidabile, alluminio
Selective Heat Sintering (SHS)Polveri termoplastiche
Selective Laser Sintering (SLS)Materiali termoplastici, polveri metalliche, polveri di ceramica
Letto di polvere e testine inkjetPlaster-based 3D Printing (PP)Gesso, amidi
LaminatiLaminated Object ManufacturingCarta, fogli metallici, film plastici
Polimerizzazione attraverso la luceStereolitografia (SLA)Fotopolimeri
Digital Light Processing (DLP)Fotopolimeri

Estrusione (FDM)

La tecnologia FDM, che si basa sull’estrusione di materiali plastici o termoplastici, è stata sviluppata da S. Scott Crump alla fine degli anni 80′, e commercializzata nel 90′ da Stratasys. A seguito della scadenza dei brevetti depositati, dal 2005 ad oggi si è sviluppata una vasta comunità di sviluppo Open Source, e sono stati realizzati molti modelli fai da te e assemblati a basso costo. Questo ha portato ad una grande diffusione di questa tecnologia, rendendola il metodo più popolare in assoluto per la produzione additiva.

Mentre in origine il materiale termoplastico da estrudere era sotto forma di sferette o pellet, nell’ultimo periodo è stato sostituito da bobine di filo, che, convogliato verso un ugello opportunamente riscaldato, viene deposto per formare gli strati dell’oggetto. L’ugello può descrivere un percorso sul piano XY e allontanarsi sull’asse Z quando uno strato è stato completato, azionato da motori passo-passo o servo, gestiti da un controllo numerico e da opportuno software. La variante del processo FDM che utilizza materiali sotto forma di filamenti è denominata FFF (Fused Filament Fabrication).

I materiali utilizzati sono vari polimeri, es.  acrilonitrile butadiene stirene (ABS), policarbonato (PC), acido polilattico (PLA), polietilene ad alta densità (HDPE), PC / ABS, e polifenilsulfone (PPSU), ma anche materiali plastici a freddo.

Nelle applicazioni attuali, l’estrusione può impiegare altri materiali trattabili a freddo sotto forma di paste plastiche anziché filamenti, quali materiali eutettici (materiali eterogenei il cui punto di fusione è inferiore a quello dei singoli componenti della miscela), materiali edibili (es. cioccolato, creme, salse etc.),  materiali con solidificazione ritardata a temperatura ambiente (es. silicone, collanti chimici, resine epossidiche), materiali compositi (es. poliammide) etc.

Le stampanti che utilizzano la tecnologia FDM o FFF sono generalmente economiche, e i modelli prodotti offrono caratteristiche meccaniche (resistenza, durezza, flessibilità) simili a quelle del materiale originario utilizzato.
Tipicamente queste stampanti non sono in grado di produrre oggetti che presentino pronunciati sottosquadri non supportati (es. un cubo vuoto all’interno).
Questo limite viene affrontato creando strutture di supporto con lo stesso materiale impiegato per la costruzione del modello (che poi dovranno venire rimosse manualmente), o impiegando più estrusori, uno dei quali depone un materiale (es. PVA) solubile con un solvente che agisce soltanto su quest’ultimo, ma non sul materiale con il quale è costruito il modello.
In alcuni casi particolari, pur essendo basata sull’estrusione di un filamento, questa tecnologia viene definita con altri acronimi. Ad esempio, Zortrax utilizza l’acronimo LPD (Layer Plastic Deposition) a causa del fatto che, impiegando particolari materiali, lo strato deposto viene sostanzialmente fuso a quello precedente, determinando una maggiore compattezza del modello e riducendo o eliminando i problemi di delaminazione.

Materiali granulari

Un diverso approccio stampa 3D è  costituito dalla fusione selettiva di materiali originariamente costituiti da un letto granulare. Con questo metodo vengono selettivamente fuse alcune zone del livello attuale, quindi l’area di lavoro viene spostata verso il basso, aggiungendo un altro strato di granuli e ripetendo il processo fino al completamento della costruzione del modello. Questo processo utilizza il materiale non interessato dalla fusione per supportare sottosquadri e pareti sottili del modello in corso di produzione, quindi la necessità di creare supporti ausiliari temporanei è limitata. Per la sinterizzazione del composto in un solidi viene generalmente utilizzato un raggio laser. I vari metodi includono la sinterizzazione laser selettiva (SLS), con metalli e polimeri (ad esempio PA, PA-GF, GF rigido, PEEK, PS, Alumide , Carbonmide, elastomeri), e la sinterizzazione diretta dei metalli tramite raggio laser (LMD).

La sinterizzazione laser selettiva (SLS) è stata sviluppata e brevettato dal Dr. Carl Deckard e dal dottor Giuseppe Beaman presso l’ Università di Austin nel Texas a Austin , a metà degli anni 1980. Un processo analogo è stato brevettato nel 1979 da RF Housholder, che tuttavia non lo ha mai commercializzato.

La fusione laser selettiva ( SLM – Selective Laser Melting) non utilizza la sinterizzazione per la solidificazione dei granuli di polvere, ma fonde totalmente il materiale in modo selettivo, utilizzando un laser ad alta energia. Le proprietà del modello in questo modo sono praticamente identiche a quelle di un modello ottenuto per fusione tradizionale, senza le criticità (es. fragilità) tipiche dei materiali sinterizzati.

La tecnologia EBM (Electron beam melting) definisce un processo additivo per la produzione di parti metalliche (tipicamente leghe di titanio), nel quale il modello viene ricavato fondendo selettivamente i vari strati di polvere metallica per mezzo di un fascio di elettroni in un ambiente a vuoto spinto. Questo processo permette di realizzare modelli con proprietà meccaniche pressoché identiche a quelle del materiale originale, con la stessa densità ed esenti da ossidazioni, ma è tra i più costosi.

Un altro metodo consiste nell’utilizzare una testina inkJet che stampa su un letto di polvere (gesso, amidi, resine) un legante, procedendo di strato in strato fini al completamento del modello. La polvere non raggiunta dal legante fa da supporto al modello, e in questo modo è possibile creare praticamente qualsiasi sottosquadro. Un grande vantaggio di questa tecnica è la possibilità di miscelare del colore al legante, creando oggetti con colori reali. La scarsa resistenza meccanica e l’aspetto poroso delle superfici dei modelli creati rappresentano d’altro lato i limiti di questa tecnica. L’estetica e la funzionalità dei modelli può essere migliorata con trattamenti successivi con cere e polimeri tramite impregnazione.

Laminazione (LOM)

Alcune stampanti 3D utilizzano come materiale dei laminati, che costituiscono lo strato che viene processato con sistemi di taglio tangenziale o laser per separare la sezione che interessa il modello dal materiale di scarto. Quest’ultimo a sua volta costituisce un valido materiale di supporto, che verrà rimosso a stampa finita.
Apparse inizialmente attorno agli anni 90′ queste stampanti impiegavano meccaniche derivate da comuni stampanti laser in B&N. Attualmente alcune aziende come Mcor Technologies Ltd impiegano una stampa laser a colori, la deposizione selettiva di adesivo, mentre il taglio dello strato avviene con una lama in metallo duro, e questo consente di produrre modelli in full color con una resa cromatica migliore rispetto all’uso di polveri e collante, ed una maggiore robustezza meccanica.
Altre aziende offrono stampanti che utilizzano sottili laminati plastici e metallici.

Stereolitografia

Brevettata da Chuck Hull nel 1986, la stereolitografia utilizza un processo di fotopolimerizzazione per solidificare una resina liquida. A seconda del tipo di luce impiegata per solidificare selettivamente il materiale, si parla di SLA (che generalmente utilizza una sorgente laser) o di DLP, che impiega proiettori LED o LCD per polimerizzare, generalmente dal basso, uno strato in una vasca contenente il fotopolimero allo stato liquido. Questa tecnologia, all’origine impiegata per realizzare stampanti professionali e industriali dai costi particolarmente elevati, vive oggi un processo di democratizzazione e promette l’avvento nel mercato di stampanti ad alta risoluzione dai prezzi popolari. I principali limiti sono determinati dalla scarsa reperibilità, potenziale tossicità e costo elevato delle resine fotosensibili, dalla scarsa resistenza meccanica dei prototipi, e dalla tendenza di questi ultimi di deformarsi con relativa rapidità nel tempo a causa dell’azione della luce ambiente.

 

 

 

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